Primi contatti tra Ermetismo e Massoneria
Dagli scritti del Buhle, del Ragon, e da quelli più recenti del Hohler, del Silberer e del Wirth, risulta manifesto che tra l’ermetismo e la massoneria hanno avuto luogo dei contatti sin dai primi an-ni del XVII secolo. Un esempio di più antico contatto tra simbolismo muratorio ed alchemico lo si trova nelle opere del Cardinale Nicolò da Cusa, il grande filosofo pitagorico del XV secolo, e precisamente in due passi delle «Excitationum ex sermonibus» (1), di cui ci siamo già occupati e che abbiamo riprodotto in un articolo «Sull’Origine del Simbolismo muratorio», pubblicato nel numero di Giugno-Luglio 1923 della «Rassegna Massonica». Ma esistono alcuni altri contatti, in origine forse ancora più antichi, tra la tradizione delle corpo-razioni muratorie e la tradizione ermetica, i quali, se non erriamo, non sono ancora stati osservati da parte degli scrittori di ermetismo e degli scrittori di studi massonici. In una diecina almeno di quegli antichi documenti muratori, che sono noti sotto il nome di «Old Charges», trovasi menzionata una singolare (sic) figura di massone, che a noi sembra possa e debba essere identificata con quella di un oscuro ma importante alchimista medioevale. Nel Ms. della «Gran Loggia», scritto nel 1583, e pubblicato per la prima volta dall’Hughan nei suoi «Old Charges» trovasi il seguente passo relativo a questo massone (2): «Curiosi uomini dell’arte (craft) viaggiarono ampiamente in diverse contrade, alcuni per appren-dere maggiormente l’arte e le abilità, ed altri per insegnare a quelli che avevano solo poca capacità, e così accadde che vi fu un curioso massone che si chiamava Naymus Graecus che era stato alla costruzione del Tempio di Salomone, e egli venne in Francia ed insegnò la scienza della massoneria agli uomini di Francia. E quivi era uno della progenie regale di Francia che si chiamava Carlo Martello, ed egli era un uomo che amava bene l’arte e attrasse questo Naymus Graecus ed apprese da lui l’arte…». Lo stesso racconto, presso a poco, trovasi nel Ms. Wood del 1610, nel M. Buchanam, pubblicato per la prima volta dal Gould (3), ed in altri otto manoscritti del XVII secolo e del principio del XVIII secolo (4). Nel manoscritto di Tew (T.W.), importante manoscritto che porta il titolo «The Book of Masons» e che è forse anteriore al 1680, ma la cui ultima redazione deve datare secondo il Gould (5) da prima della riforma (1534), è pure raccontata la stessa cosa. Esponendo il contenuto di questo manoscritto il Gould scrive (6): «Facciamo in seguito conoscenza con un singolare massone che ha assistito alla costruzione del Tempio di Salomone, che viene in seguito in Francia, ed insegna il mestiere della massoneria alla gente di questo paese; esso è indicato sotto il nome di Mam-mongretus e Memongretus. Ma il t è stato mal letto al posto di una c, e si può affermare con confidenza che il Grecus che incontriamo nel manoscritto della Gran Loggia ed in quelli del gruppo Slone è ben l’ultima parte del nome, che era scritto all’origine. Ciononostante la forma precisa delle due prime sillabe della parola non può essere ricostituita; è quasi certo che principia con un M, come possiamo dedurlo, secondo l’ortografia della parola in altri manoscritti più strettamente connes-si a quello di Tew: Maymus, Marcus, Mamus, Minus ecc. e il personaggio che lo scriba aveva nello spirito era forse Maimonide, vale a dire Moisè ben Maimon (conosciuto egualmente sotto il nome di Maimuni), che morì nel 1204 e che ha scritto a proposito del Tempio di Gerusalemme; il compilatore lo prendeva senza dubbio per un greco». Questa identificazione del «singolare massone» col famoso autore della «Guida degli smarriti», oltre ad essere completamente arbitraria, ha anche il difetto di essere obbligata a presupporre nel compilatore del manoscritto una ignoranza veramente assai forte, perché bisogna essere assai igno-rante per scorgere un greco nel più celebre forse degli scrittori ebraici. Ci sembra invece molto più semplice e naturale, senza bisogno di fare calcolo sopra ipotetici spropositi altrui né di alterare la grafia, identificare il singolare massone di questi antichi documen-ti massonici con l’alchimista Marcus Graecus, autore di un «Liber ignium ad comburendos ostes» assai noto, e nel quale trovasi tra le altre cose la più antica menzione della polvere da cannone. Un esemplare manoscritto della fine del XIII secolo di questo libro esiste alla Bibliothèque Nationale di Parigi, ed un altro esemplare manoscritto dello stesso periodo alla Biblioteca Reale di Monaco. Fu stampato per la prima volta sotto il primo Impero per iniziativa dello stesso Napoleone; quindi nel 1842 e 1866 dall’Hoefer nelle due edizioni della sua «Histoire de la Chimie», nel 1891 in fran-cese dal Poisson, e finalmente il Berthelot ne ha pubblicato l’edizione critica nel 1893. Il Berthelot, che dedica il capitolo quarto del Tomo primo della sua opera: «La Chemie au Mo-yen Age» allo studio del «Liber Ignium» osserva che Marcus Graecus non è conosciuto nella storia dell’antica alchimia (greca) e non figura nei testi della «Collection des Alchimistes Grecs». Ma siccome di un Marco alchimista è fatta ripetuta menzione nella «Tabula Chimica» di Senior Zadith, ed è pure citato in un’altra opera alchemica latina derivata dall’arabo e cioè in un commento alla Turba Philosophorum (XIV secolo), e siccome è citato anche nelle opere alchemiche arabe, ne segue che deve essere esistita, sotto il nome di questo autore, un’opera alchemica in arabo di una certa autorità riattaccantesi alla tradizione degli antichi alchimisti greci. Se questo alchimista ricordato nei testi arabi ed i quelli latini della Turba e del Zadith sia il me-desimo che ha scritto il Liber Ignium è una questione che il Berthelot si è posto, senza per altro po-ter pervenire a risolverla; ma a noi basta ed interessa il constatare che i testi componenti il Liber Ignium, benché rimasti inediti sino all’inizio del XIX secolo, erano conosciuti dal XIV secolo, per-ché contengono una serie di articoli che sono comuni al trattato De Mirabilibus, del XIV secolo, dovuto ad un allievo di Alberto Magno. Inoltre in opere del Cardano, del Porta, del Biringuccio, le cui prime edizioni sono del XVI se-colo, Marcus Graecus è nominativamente citato; ed il Berthelot riferisce l’esistenza anche in Inghil-terra di un altro esemplare manoscritto di questo libro. Egli conclude dicendo che sembra trattarsi di una traduzione latina, fatta nel XII oXIII secolo, d’uno di quei trattati tecnici di ricette trasmessi e rimaneggiati incessantemente dall’antichità, a tra-verso l’Oriente arabo e l’Occidente latino. Nulla vieta dunque di ammettere che il compilatore del manoscritto massonico originale, che fa-ceva menzione del singolare massone Marcus Graecus, abbia avuto conoscenza di questo alchimi-sta la cui abilità nel «fuoco greco», nei petardi ed in tutte le operazioni mediante il fuoco era così conosciuta. Ed è abbastanza curioso che il simbolismo dei «lavori di masticazione» faccia una parte assai larga alla «polvere da cannone», che trovasi, come abbiam visto, menzionata per la prima volta proprio nel «Liber Ignium».
(1) Rev. Pat. N. de Cusa Card. Opera, Basilea 1565, pag. 632. (2) Cfr. History of Freemasonry and Concordant Orders, Boston and New York 1891, pag. 189. (3) Cfr. R. F. Gould, History of Freemasonry, London 1887, Vol. I pp. 93-100. (4) Ibidem, I, 97. (5) Cfr. R. F. Gould, Histoire Abrégée de la Franc-Maçonnerie, Bruxelles 1910, pag. 223. (6) Ibidem, pag. 224. ∗ Pubblicato in «Era Nuova», 1925, n. 4.2