IL MARTINISMO E LA SUA ESSENZA di U. G. Porciatti
Umberto Gorel Porciatti
IL MARTINISMO E LA SUA ESSENZA
Nella vita dei popoli si riscontrano momenti particolari nei quali sembra che essi, sospinti da una forza sconosciuta, tendano, in una sorprendente comunanza di intenti, al proprio superarsi ed a raggiungere un ideale verso il quale sono tesi gli intelletti e gli spiriti.
Generalmente questi momenti storici sono preceduti da lunghi periodi di maturazione e di affinamento di questi stessi
ideali, ed in definitiva costituiscono il frutto di sementi che, nel corso dei secoli, hanno germogliato in un terreno reso fecondo dalla corruzione di istituzioni preesistenti.
Per l’Europa occidentale uno di tali periodi è rappresentato dal XVIII secolo che, quale erede di tutte le correnti ideologiche maturatesi nel medio evo, incrementate dagli abusi di una nobiltà avida e da quelli di una Chiesa corrotta altrettanto ingorda quanto violenta e viziosa, ha cercato con il potenziamento di principi che a molti sono parsi nuovi, di sollevarsi « a più re- spirabil aura ».
L’aspirazione dominante nel secolo è il riconoscimento di una identità di diritti a tutti gli uomini, e l’instaurazione di un governo che riconoscesse la santità di tale diritto e che fosse l’espressione del volere della collettività. Il concetto di fratellanza dilaga, esce dall’ambito di alcune comunanze corporative, occupa tutti i pensatori, giunge alla soglia di qualche trono che lo accetta, adegua alle necessità di governo, togliendogli il carattere di assolutismo insensato che non tiene conto delle evidenti differenze di capacità intellettive e realizzatrici, esistenti fra uomo ed uomo. E’ il secolo del potenziamento della democrazia, della democrazia a tutti i costi, la quale nella sua cecità, non vede che, se la grande massa ha il diritto di governarsi, questo diritto, che è poi un dovere, deve far capo a chi ne ha la capacità, e cioè a pochi, i quali rappresentano così una vera aristocrazia che potremmo, con un’espressione che chiarisce il concetto, chiamare « l’aristocrazia del buon diritto ».
Accesi gli spiriti, che nel vicendevole consenso ingagliardiscono sino a divenire bellicosi, ne nacque un suddividersi di correnti più o meno impetuose che, pur avendo per fine comune raggiungimento di uno stato di eguaglianza più o meno bene inteso, si valsero per esso di mezzi assai diversi che, da quello della semplice enunciazione, attraverso ad una gamma di toni progressivi, giungevano a quei mezzi di cui la Rivoluzione Francese detiene un non invidiabile primato.
Fu così un caos che nel nome della Fratellanza pervenne a dei metodi la cui sostanza era tutt’altro che fraterna!
La ricca Chiesa venne meno alla sua missione, né poteva essere diversamente poiché dei suoi principi basilari tutto ormai aveva perduto; i suoi maggiori Sacerdoti incapaci di ravvivare la fiaccola di una Idea Superiore e con essa portare luce in quel caos preoccupante, si dette all’egoistico ed inutile lavoro di erigere barriere alla idea dilagante, proteggere con esse i loro temporali domini, « quella dote » che fa dire al Poeta, che « di tanto mal fu matre ».
L’ardore delle aspirazioni trasformatosi in tumulto di passioni intese al conseguimento di una struttura sociale più aderente ai riesumati principi, perduto qualsiasi controllo che poteva derivare solo da una concezione ben più alta di quella terrena, degenerò in violenza, prima di teorie poi di fatti, e culminò, sul finire del secolo, in quella strana forma di fraternità meccanizzata con l’invenzione del dottore Guillotin.
Questo il panorama del secolo che potremmo sintetizzare dicendo: aspirazione al giusto, che, non sorretta da un ideale superiore, incontenuta, degenerò in paurosa violenza.
Quando, al principio del secolo, le tendenze erano contenute entro i limiti di una onesta ed umana disciplina, prese forma concreta la più naturale aspirazione dell’uomo non dimentico di essere scintilla di un Creatore epperciò parte di Esso, e la Massoneria si diffuse. Per essa fu rivivificato il principio dell’immortalità dell’anima, costituente quella Verità asserita dai più antichi Saggi che consideravano l’uomo costituito da Materisj. e da Spirito, che per la legge della eterna conservazione dovevano ritornare l’una nel grembo della Gran Madre Natura, l’altro al Gran Padre Supremo. Il clima spirituale era propizio, e la Massoneria che prese forma concreta nel 1717 prosperò sin quando, essa pure risentendo delle maturatesi condizioni ambientali, indirizzò l’opera sua più che alla ricerca delle Verità ascetiche ed al miglioramento intimo dell’uomo, a quello della conquista di un benessere immediato. Dovette lottare contro lo scetticismo che con l’arroventarsi delle passioni andava dilagando, contro la negazione, contro la marea materialista che andava crescendo con il crescere del polarizzarsi delle energie verso il raggiungimento di fini immediati e, nella lotta, non rimase totalmente immune dal contagio. E per questo e per altre ragioni, si sminuzzò in una quantità incredibile di Ordini e di Riti, perdendo così il suo carattere unitario per assumere volta a volta delle tinte particolarmente rispondenti ad indirizzi speciali; questo lavorio di disgregazione fu specialmente opera della Chiesa dominante, quella stessa Chiesa che aveva tanto potentemente avversato e Rosa-Croce, e Templari e Gnostici, poiché ne temeva l’opera intesa a fare prevalere la Verità sulla superstizione e sull’interesse di casta.
Ma se gli intelletti erano prevalentemente tesi al raggiungimento di un fine immediato ciò non significa che in essi fosse spenta l’aspirazione a qualcosa di più elevato; troppo recenti erano i ricordi della magnifica potenza dei Rosa-Croce, del loro sapere, delle loro conseguite possibilità, e, per quanto si dicesse che lo scompiglio sopravvenuto in Occidente aveva determinato il loro esodo verso l’Oriente, si sapeva che qualcuno di essi o di coloro che ne detenevano i principi, era rimasto e si manteneva silenziosamente appartato; essi fornirono il seme, ed il seme dette i suoi frutti.
Nello stesso campo ove si urtavano le tendenze sociali, in quel campo ove una Chiesa era inoperante perché già da secoli aveva perduto tutta la sua originaria bellezza, qualche figura è sorta a rievocare una fede sana e pura, ad invitare allo studio di quanto poteva permettere alPuomo di elevarsi e di migliorarsi tanto da potere raggiungere per ben altra via ed in maniera definitiva quello stesso scopo a cui tutti tendevano: la fratellanza ed il benessere universale.
Emanuele Swedenborg, Rosa-Croce, Iniziato, Veggente ci appare quale Padre di un magnifico risveglio; la sua figura sorprende e si impone; egli è l’uomo che ha ben saputo nel suo mistico Atanor ottenere il suo mistico oro, e la luce che da lui emana illumina, onde si scorge il « Vero Sentiero ». Martinez de Pasqually, suo contemporaneo, ne propugna la dottrina e nel 1754 fonda prima a Marsiglia poi a Tolosa ed a Bordeaux quel « Rito degli Eletti Cohens » che nel 1767 prenderà sede a Parigi e sarà valido assertore della filosofia dei nostri antichissimi Padri e della scuola Cabalistica.
Luigi Claudio marchese di S. Martin, ufficiale in un reggimento del Re, filosofo e storico, detto « il filosofo incognito » nutrito della dottrina swedenborghiana e del sistema di Pasqually, porta al nuovo Rito tutto il contributo della sua profonda cultura e del suo spirito di mistico convinto, e, forte di tutta la potenza della sua convinzione, trascina seco numerosi adepti. Rimaneggia la dottrina del suo Maestro, le imprime un carattere tale da farla corrispondere esattamente alla dottrina Rosa-Cruciana, e se vero si è che i Rosa-Croce hanno abbandonato l’Occidente per l’Oriente, egli se ne fà erede, ne rivivifica lo spirito, è compreso ed è seguito.
La sua è una dottrina che, per l’epoca, è del tutto particolare; egli avvolge tutto in un mantello di spiritualità, riporta tutto alla esistenza di un Assoluto veramente tale, quale lo avevano concepito Ermete, Pitagora e gli Gnostici. I suoi lavori densi di concetto e di anima, quali: « Degli errori della Verità », « Rapporti fra Dio, l’Uomo e l’Universo », « L’Uomo del Desiderio », « Il Mistero dell’Uomo Spirituale », costituiscono le pietre angolari di un edificio le cui fondamenta posano sulle più solide basi che mai è possibile immaginare.
Gli Adepti che lo seguono sono dei virtuosi; il Rito che primitivamente era in 10 gradi è ridotto a Sette e prende da lui il nome di « Ordine Martinista ».
Altre iniziative analoghe si sono delineate pressoché contemporaneamente: il barone di Hund anima la « Stretta Osservanza » che si atteggia ad erede dei Templari, ma i principii ne sono talmente addomesticati dai Gesuiti che nella loro sostanza più nulla hanno del vero spirito del Templarismo cui è molto più prossimo S. Martin che non il barone di Hund od il barone di Tchoudy che nel 1766 fonda l’ordine della « Stella Fiammeggiante ». Ci troviamo qui di fronte a due iniziative contrassegnate dal marchio gesuitico, che vogliono atteggiarsi a corporazioni di cabalisti, alchimisti e negromanti, ma che in realtà, con arte tipicamente gesuitica si contrappongono agli stessi principii che dicono di professare, svisandoli e deformandoli in prò della chiesa cattolica di cui si esige la dichiarazione di fede per potere far parte dell’Ordine. La loro vita non è lunga ed il solco che tentano di tracciare dispare rapidamente, mentre la sana ed onesta iniziativa di C. de S. Martin si afferma.
Chi si proponesse di ricercare le origini del Martinismo si troverebbe di fronte ad un quadro limpidissimo di esasperante semplicità, poiché il Martinismo è un Uomo: Claude de S. Martin. Con spirito critico si potrebbe rilevare chq tutti quegli autori che hanno voluto far risalire le origini un pochetto più addietro a Martin de Pascally, hanno commesso un piccolo errore poiché il vero ideatore del Martinismo, quale ci è pervenuto, colui che ha impresso al Rito una caratteristica inconfondibile, è quello che i colleghi chiamavano « il filosofo incognito » dandoci quasi modo, con tale titolo, di raffigurarcelo come un pensatore tanto silenzioso e tranquillo quanto profondamente buono.
Ma se si volesse penetrare nel pensiero di questa figura che giganteggia nell’intelaiatura dell’origine del Rito, ci si troverebbe di fronte a qualcosa di tanto denso, ordinato e complesso da obbligare a far ricorso a tutte le più belle concezioni antiche, a mille dolorose vicende della storia, agli infiniti aspetti del vivere umano, ed alle scienze più diverse che possono aiutare nella ricerca della Verità, per poterne comprendere il contenuto.
Il processo formativo dell’espressione Martinistica mentre nel suo concetto essenziale si ricollega alla filosofia ermetica dell’Assoluto, e ne costituisce quella base che sotto forma più scientifica ritroviamo in Pitagora, procede all’esame storico della vita della umanità e da esso trae da un lato elementi confermanti, nella purezza di caratteri individuali o collettivi, la bellezza della natura umana, e la possibilità di elevarla, da un altro, motivo di sconforto nell’osservazione di tendenze viziose; tutte le scuole scientifiche e filosofiche lo interessano poiché da ognuna di esse ha di che trarre elementi che possano facilitare il compito che si propone, epperciò l’accesso all’Ordine è consentito ad uomini di qualsiasi tendenza o religione senza preferenza alcuna, sola condizione necessaria, e sulla quale si insiste con metodo particolare, si è che l}individuo sia animato da intendimenti purissimi.
E’ naturale che essendo di fomazione occidentale, il Marti- nisirio dava una particolare attenzione alla religione che è qui dominante, ma questo non significa che esso abbia una prevenzione qualsiasi, poiché: alla religione, qualunque essa sia, purché inspirata a sani concetti, nulla ha da togliere, per contro avrà piuttosto da aggiungere. Ma quando si avvede che una religione manca ai propri principi od ha dei principi o delle tendenze nefaste, non può non disinteressarsene, così come non può non disinteressarsi il reggitore delle sorti di una comunità quando si avveda che in essa vi è qualcosa di nocevole.
La chiesa cattolica nella sua vita secolare partendo da un prirìcipo di eccezionale splendore e di facile comprensione è andata via via separandosi dal principio informatore ed accentua. *do delle tendenze che sono in perfetta antitesi con esso; questo le ha nociuto seriamente poiché nella grande massa dei cat -folici vi è stato chi non si è più sentito di seguirla nel mutato indirizzo, onde gli scismi per non citare le forme più appariscenti di dissentimento. Ma anche la riforma non ha saputo portare la religione al suo concetto informatore, quello del Cristo;, del Cristo Solare, poiché fra le proprie espressioni vi era pur quella di una particolare avversione al Cattolicesimo, ed è questa una caratteristica non corrispondente a quel concetto di tolleranza che impera in tutti i culti superiori.
A quello che abbiamo chiamato, con espressione non certo completa, il principio di eccezionale splendore della dottrina Cristiana, nel suo spirito e nella sua purezza si riporta il Marti- nismo che è prevalentemente culto di amore e mezzo di miglioramento. ‘
La dottrina di Cristo non è per nulla originale. Essa si richiama alla più antica concezione filosofica e cosmologica che ci sia dato di conoscere, a quella dei Veda, di cui coglie anche molti particolari; di essa la dottrina del Cristo rappresenta un eccellente adattamento alla mentalità occidentale ed a quella di tempi più moderni; la sua sostanza corrisponde tanto esattamente alla prima concezione teofisica orientale ed ermetica che, quando furono diffusi i « Poimandres » di Ermete Trimegisto la Chiesa vide in essi l’opera di un precursore del Nazareno. Ed in effetti potevano realmente esser considerati come tali poiché lo spirito informatore ne è lo stesso, ma ciò, come ripetiamo, non significa cbe a tale spirito si sia perfettamente uniformata una qualsiasi delle religlioni occidentali, sia per la assurda imposizione di dogmi come per il tipico spirito settario che nella maniera più assoluta esce dalla concezione fondamentale delle dottrine Orientali, ed Ermetiche e per essa da quello di una Vera dottrina Cristiana.
Alla mente di un erudito filosofo della levatura di un Claude de S. Martin non poteva sfuggire la grandiosità della concezione orientale dell’Essenza del Divino che in forma nota agli Occidentali è rispecchiata dalle Tavole Smeraldine e dall’opera tutta di Ermete che non si limita ad una semplice speculazione ma traccia, sia pur velatamente, la via per pervenire a meglio comprenderla epperciò fondersi in essa. In questo l’opera ermetica è superiore a quella svolta nei Vangeli, per quanto non sia alla portata di tutte le intelligenze, perché più completa e non soltanto limitata al campo del miglioramento diretto partendo dal solo « IO », ma estesa a quello dello studio in tutti i campi della vita universale, nelle sue varie forme, nelle sue espressioni palesino, procedendo a ricerche anche in quel campo dell’occulto cui Vangeli non fanno cenno poiché all’epoca che corrisponde ad essi e per la mentalità pii coloro a cui erano diretti, il valore delle scienze non direttamente percepibili era sconosciuto.
Nel formare la propria filosofia, che fu quella del Marti- nismo, Claude? de S. Martin risalì alle fonti prime e di esse prese non soltanto Ja parte più evidente ma colse pure i più nascosti concetti, con una intuizione sicura che nel processo formativo fu confermata dallo studio delle filosofie posteriori.
Ermete stabilisce dei rapporti fra la vita del Cosmo e quella della Natura, fra Macrocosmo e Microcosmo; pone le basi di una legge universale che regola tutte le espressioni della vita nello stesso modo, e pone cosi il principio di una generale cprrispon- denza e simiglianza fra di esse, che naturalmente comporta il concetto di rispetto per tutte le cose del Creato, di amore per esso, di intenso e scambievole amore fra tutti coloro che appartengono alla medesima famiglia di creature, cosa questa che ci è dato sovente di constatare naturale negli animali forse più di quel che non lo sia negli uomini!
Ne deriva pure e la convinzione che appronfondendo lo studio della vita in tutte le forme di essa, nelle più pàlesi come in quelle che lo sono meno, si possa pervenire a diradarne l’essenza epperciò a penetrare un poco di più nel suo segreto, ed il concetto deH’immortalità dell’anima, conseguente alla concezione Ermetica ed Orientale, che consiglia a studiarrie il possibile suo peregrinare per poter pervenire all’essenza stessa della vita, alla Verità.
Quando procedendo nello studio delle scuole filosofiche si giunge a quel VI sec. avanti l’era attuale che segna il confine fra ia leggenda e la storia, ci si incontra nella maestosa figura di Pitagora, il fondatore di quella « Scuola Italica » che tanto profonda orma ha lasciato nello studio del Vero, facendone un reale Studio Comparato. I concetti Ermetici vi sono rivalorizzati; non si sa quale sviluppo essa desse allo studio condotto in campi, diremo così, collaterali, delle ricerche del meno visibile, ma sappiamo che i ravvicinamenti cosmici, geometrici, armonici, luminosi, fisiologici, ne ebbero un potenziamento impensato. E la cabbaia (tradizione) ne fu rivivificata, le meraviglie delle corrispondenze numeriche poste in luce, il rapporto fra il mondo cosmico, quello planetario e quello terreno stabilito con una intuizione, e talora con una potenza di dimostrazione, che ha del prodigioso.
E procedendo ancora eccoci alla scuola Cristiana; essa pure riafferma gli stessi prìncipi, né può essere diversamente tanto più che non costituisce una diretta emanazione delle scuole orientali indiane ma quella (la ricerca storica lo precisa in maniera indubbia) della scuola Alessandrina direttamente derivata da quella Ermetica; li riafferma semplificandoli, volgarizzandoli e contenendoli in limiti tali da essere compresi dalle masse, si fa rapida strada nel mondo degli oppressi ed è compresa anche fuori di esso.
Essa segna un momento importante nella storia dell’Uma- nità, avvince e trascina; il martirio del Nazareno, anche se non compreso nel suo simbolismo, commuove ed ingentilisce; la dottrina dell’amore pare imporsi e, nel nome della Causa Prima, affratellare il genere ujnano. Il disinteresse personale, lo spirito filantropico, la rinuncia, il sacrificio diventano tanto spontanei che l’Umanità par proprio rinnovata e posta decisamente sulla via della perfeteione. Pare un ritorno alla mitica era dell’« Oro » cui le filosofie, antiche tanto soventemente fanno allusione.
Purtroppo però i vizii, i sentimenti meno nobili non sono estinti, ed insidiano poco dopo il suo nascere questa creatura tanto promettente.
Dapprima si vuole procedere ad un codificazione della dottrina; sorgono dei prescelti di cui i primi sono probabilmente emanazione di gruppi ancora realmente onesti, ma essi sono partigiani di una particolare interpretazione della lettera più che dello spirito che di interpretazione non bisogna poiché essa è sentita. Dei numerosi Vangeli se ne scelgono quattro* soltanto quattro perché ancora si sente il bisogno di ricollegarsi alla tradizione antica, e siccome della Sfinge Egizia, severo simbolo della tradizione antica, ancora si sente tutta la maestà, dei quattro animali simbolici onde essa è costituita si fanno i simboli dei quattro Vangeli, con il preciso scopo di allacciare la religione nuova alla tradizione antica. Il Cristo rimane il Dio solare, come Sole raffigurato tuttoggi nelle pianete, nel Sacro Calice, nella Ostia; l’Eucarestia resta immutata nella forma , ma se ne muta il concetto; l’Agnello, l’Agni dei Veda, il simbolo equinoziale che precede il Pesach degli ebrei (pesach significa « passaggio » ed allude al passaggio che fa il Sole dell’emisfero inferiore a quello superiore) è conservato ma di esso pure si muta il significato. La codificazione si fa sempre più rigida, subentra il dogma che rappresenta la prima forma di dittatura, i Concilii impongono le loro decisioni pena la scomunica e peggio, il richiamo alla fratellanza si attenua, subentra intolleranza ed avversione che domani saranno arbitrio e violenza.
Ma i puri non mancano; fedeli alla dottrina nel suo spirito che penetrano, essi la difendono; sono i Gnostici (dal greco gi- gnósco = conoscere) che S. Clemente d’Alessandria, Padre della Chiesa, definisce « i Cristiani degni di questo nome », nei quali prevale un carattere di sincretismo tendente alla unificazione delie dottrine religiose, ed è appunto per questo che l’affermatasi religione li avversa e li combatte, prima sul solo terreno filosofico, più tardi, venendo meno al sacro rispetto della vita, ne combatte i sostenitori con la spada e la lancia.
Le pagine della storia che si riferiscono alla lotta spietata mossa dalla Chiesa contro i Catari e gli Albigesi, gnostici purissimi, costituiscono uno esempio di ferocia e di cinismo tale da porre in evidenza che il Cattolicesimo aveva cessato di essere Cristiano, mentre da parte dei gnostici offre la prova di quale forza d’animo, di quali sacrifici, di quale rassegnazione sia capace di essere inspiratrice una sana religione veramente sentita. Le impressioni, gli stati d’animo possono essere transitori ma sempre lasciano un’impronta; la storia registra e le generazioni che seguono ne risentono l’azione; è così che le forme inquisizionali, la distruzione dei Templari e tutto un sistema hanno seriamente scosso la fede in quella religione che doveva essere religione di conforto, ispriata da un.Dio Buono e Misericordioso.
Questo è il doloroso panorama storico filosofico che si presentava allo studioso d^l XVIII secolo volgente lo sguardo al passato; origine di sconforto e giustificazione del caos del momento che di questo sconforto di questo senso di abbandono da parte di chi doveva tutelare la vera giustizia era la conseguenza. L’anima umana, nel sup fondo, era la stessa di quel che fosse venti o cento secoli prima intimamente desiosa di un qualcosa di superiore che la poetasse a spaziare in quei Cieli d’onde venne, che la facesse procedere lungo il cammino dell’evoluzione verso cui inconsciamente si sentiva trascinata, onde si avvicinò riconoscente a che ne offriva il mezzo; ed attorno a Claude de S. Martin si riunirono gli « Uomini del Desiderio », che si resero conto che fra le varie iniziative prospettate, quella del « Filosofo incognito » rappresentava la più sana, completa, promettente, elevata, aliena da qualsiasi contagio, vera Fratellanza Spirituale, ove chiunque fosse inspirato da puri ed onesti sentimenti poteva sentirsi validamente secondato nei suoi sforzi per pervenire alla Saggezza ed in un domani alla Verità.
Non si tratta infatti di una semplice raccolta di uomini de- dicantisi al culto di un Assoluto compreso quale origine di ogni forma di vita, non si tratta di una adorazione utile soltanto al cuore, bensì di una comunanza di sforzi tendenti con un lavoro silenzioso, continuo tenace, a penetrare nell’essenza di questo Assoluto, a svelare, per quanto possibile, la legge dell’essere.
Per questo, a simiglianza di quanto precendentemente fatto dai Rosa-Croce la cui Rosae Crucis Fratres, (composta da coloro che si dedicavano alle ricerche alchemiche), completava la Aurea Crucis Fratres costituita da teosofi, il Martinismo si dedica non soltanto alla meditazione ed alla diretta applicazione dei propri principi di fratellanza, ma pure alle ricerche in tutti quei campi in cui la scienza ufficiale non può operare, non per insufficienza di cognizioni, ma per difetto di quelle qualità proprie soltanto ai veri Iniziati.
Costituisce cosi una vera Accademia (cui forse mai meglio che adesso si addice questo titolo che proviene da Cadmos, significante Oriente e per estensione Sapienza) perfettamente omogenea perché i suoi componenti sono compresi di reciproco sconfinato amore ed ove, individualmente o per gruppi, secondo le particolari attitudini, si procede a quelle ricerche, nei campi delle scienze sviluppate od embrionali, note od occulte, che possono concorrere a far pervenire alla Conoscenza.
Non si limitano essi a tener viva « la Fiamma — venerata in tutti i tempi — Nelle oscure caverne — nei Sacri Templi, — Nutrita dai ministri dell’Amore » ma ne smuovono continua- mente le ceneri per ravvivarla, perché, possa estendersi, e ne studiano i mezzi più adatti, e lavorano, lavorano, e quando la materia in loro cede, ad altri commettono e l’energia loro, e la fede e quanto hanno appreso, onde sia facilitata al Fratello l’ascesa della dura ma luminosa erta.
Richiamata la genesi del pensiero martinista, dopo avere indicato sommariamente quale ne sia la sostanza, trascriviamo una pagina scritta da Tessier ora è un trentennio:
« Il Martinismo visse oscuramente, lontano dalle convulsioni della società, almeno nel cerchio esterno, assorbito nella contemplazione dei grandi misteri della Natura, fin quando il movimento universale verso l’idealismo addusse ovunque una testimonianza eloquente in favore dell’opinione affacciata dagli osservatori sinceri, e cioè: che il materialismo è incapace di corrispondere agli imperiosi bisogni dello studioso; che il clericalismo è odioso all’uomo che ha dei veri sentimenti religiosi; che ad un cuor puro ripugna la lotta indegna fra una filosofia impotente ed una teologia corrotta, e domanda che entrambe siano una buona volta sepolte sotto il sovrano disdegno dell’uomo.
« Oggi migliaia di uomini e di donne cercano un rifugio nella Saggezza degli Antichi, nella Scienza di quei tempi che non conobbero né persecuzione religiosa, né intolleranza scientifica — di quei tempi in cui la saggezza di un iniziato ai Misteri Egiziani, la ricchezza di un adoratore di Moloch e l’abilità di un settario di Mithra lavoravano nella più sublime armonia alla costruzione di un Tempio eretto al Dio di Israele, tempio nel quale una idolatra, la bella regina di Saba, ed un altro idolatra, Alessandro il Grande, vennero ad adorare il Santo dei Santi.
« Di fronte a questo ritorno fatale verso la Saggezza Antica che ha prodotto Rama, Krishna, Ermete, Mosè, Pitagora, Platone e Gesù, il Martinismo, depositario di sacre Tradizioni, esce dalla sua volontaria oscurità ed apre i suoi santuari di scienza agli Uomini del Desiderio capaci di comprendere i suoi simboli, incoraggiando quello che è animoso, sconsigliando colui che è debole, sin quando la speciale selezione dei Superiori Incogniti sia completa; allora, il Martinismo chiuderà le sue Assemblèe e tornerà al suo sonno secolare ».
Luigi Claude de Saint Martin, durante il suo periodo di guarnigione a Bordeaux (1766-1771) fu affiliato alla Loggia Massonica degli Eletti Scozzesi alla quale apparteneva pure Martinez de Pasqually, cabalista, teurgista ed occultista, a cui, come detto, devesi il sistema degli Eletti Cohens.
Dopo la morte del Pasqually, abbandonata la divisa militare, Saint Martin effettuò un viaggio in Italia e dopo si stabili a Parigi ove raccolse un cenacolo che fu detto « degli Uomini del Desiderio » poiché gli adepti si dedicavano con tutte le loro forze alla ricerca della Verità.
Da questo cenacolo nacque l’Ordine Martinista che assunse la caratteristica di catena esoterica formata fra gli adepti dei quali era richiesta l’attitudine naturale, la possibilità intellettuale e la volontà di « conoscere » e di elevarsi interiormente a profitto dell’umanità. All’affermarsi ed al rapido diffondersi dell’Ordine contribuì potentemente l’opera di G. B. Willermoz che fu del Maestro il più attivo collaboratore; dalla Francia l’Ordine, che già aveva assunto la forma di ramificazione illuministica del Rito Scozzese, si diffuse in Europa ed in America; nel 1887 fu riorganizzato e gli fu impresso un carattere più « intimo », tale da legare tutti gli aderenti con un vincolo spirituale intimamente sentito, vincolo animico più che comunanza di indirizzo del pensiero.
L’Italia, per quella idealità cavalleresca e mistica che sta nel fondo della nostra razza, ove è fusa ad una particolare genialità, non soltanto accolse il Martinismo ma gli conferì delle espressioni particolari e ne sviluppò il concetto.
Già nel 1924 l’Ordine italiano assunse caratteristica autonomia procedendo alla formazione di un suo Supremo Consiglio a reggere il quale fu chiamato l’avv. A. Sacchi (Sinesius), coadiuvato da un certo numero di Gr. Maestri Regionali alla cui opera coraggiosa si deve la conservazione dell’Ordine durante tutto il periodo dittatoriale subito dal nostro Paese.
Alla base dell’adeptato Martinista è la più ampia libertà di pensiero e di coscienza, la più completa indipendenza in fatto di religione, ma un vincolo potente lega tutti gli aderenti all’Ordine, di cui l’abnegazione profonda che è necessaria per esservi accolti, educata e potenziata, nonché la progressiva catarsi che adduce alla rinascita spirituale risvegliando in noi il « divin bambino » determina in effetto una coesione così intima contro cui qualsiasi azione è praticamente inoperante.
Di quale forza di coesione sia capace un assieme costituito da oneste persone per le quali lo spirito di fratellanza è una seconda coscienza, e l’adeptato prescelto è sentito in tutta la sua bellezza, ne abbiamo avuto la prova nel recente periodo di persecuzione di tutte le collettività che direttamente o indirettamente avversavano le forme dittatoriali.
Disposto per l’annientamento di tutte le associazioni a carattere indipendente, la maggioranza delle comunità più note si disciolse non soltanto apparentemente ma pure sostanzialmente poiché ad esse mancava quel cemento costituito dalla reciproca fiducia e dalla forza di un ideale compreso tanto profondamente da ammettere anche il sacrificio personale; di esse rimasero solo dei singoli, il più delle volte isolati, che furono quelli che, con il ritorno delle possibilità di azione, levarono alta l’antica fiaccola, cercando con essa di illuminare gli spiriti e pervenire ad una effettiva fratellanza che non venga meno quando più se ne fa sentire il bisogno.
La maggior parte delle collettività mancò al proprio compito quando tanto utile ne sarebbe stata l’azione; ma non fu così dell’Ordine Martinista che continuò silenzioso nell’opera sua, orientata, per la necessità del momento, principalmente alla rivalorizzazione della dignità umana; il suo lavoro fu prudente, tranquillo, ed efficace tanto da preoccupare i dominatori. Chi scrive lo fa con competenza in merito, e, per non dire che di cose vedute, e vissute, si riferisce ad una serie di circolari che ha sottocchio, circolari «riservatissime » in cui le Autorità di allor richiamano l’attenzione dei dipendenti ad una accurata vigilanza su certe « Società di Mutuo Soccorso a carattere Massonico, illuministico, ecc. ». Sono circolari che vanno dal gennaio 1928 al dicembre 1938; quella del 10 settembre 1929 ha per « oggetto », « Ordine Martinista » ed in essa sono i nomi di Aldo Lavagnini, Alessandro Sacchi, Adolfo Banti, nomi sacri al Martinismo Italiano e di cui il ricordo è vivo in tutti.
E che dire poi dell’attuale Sovrano Gran Maestro Generale miracolosamente sfuggito ad una persecuzione che molto ricorda quella dei Templari, che oltre alle pene fisiche cui fu sottoposto ebbe a subire il lancinante dolore di veder cadere nobili Fratelli cui si sarebbe volentieri sostituito?
Vi è tanto quanto basta a porre in evidenza, per chi non lo senta, tutta la potenza fascinatrice di un Ordine!
L’Ordine Martinista ha assunto oggi in Italia una caratteristica sua, perfettamente derente ai suoi principii fondamentali, e ciò grazie all’opera dei suo attuale Sovrano Gran Maestro Generale che non è secondo a nessuno in fatto di speciale competenza e di raffinatissima sensibilità.
Esso comporta due sezioni: quella exotérica comprendente gli « Associati », quella esoterica che in tre gradi affronta l’erta iniziatica.
Molto opportuna la prima sezione che, mentre dà modo al postulante di ambientarsi, permette di meglio conoscerlo rendendosi conto se sia utile avviarlo verso quelle mète che non sono di tutti oppure se sia più conveniente di dissuader velo.
Ai tre gradi iniziatici ne fanno seguito altri sei che sono prevalentemente amministrativi.
Alla « valle » massonica, il Martinismo sostituisce la « collina »; nessuna pretensione in ciò, né uno sciocco desiderio di differenziazione, ma piuttosto l’intendimento di precisare che ad una « Accademia » non si può pervenire che dopo aver superato un non facile cammino; se la Massoneria esige che gli aspiranti ad essi siano « uomini liberi e di buoni costumi », il Martinismo chiede, oltre a ciò, che essi siano dotati di buon volere, siano « uomini del Desiderio » il che implica qualcosa di più e quasi comincia laddove la Massoneria ha già cominciato. Nel Martinismo, poi, possono progredire (come del resto anche in Massoneria che a tale scopo si divide nel Rito Scozzese, in Massoneria Operativa ed in Massoneria Speculativa) soltanto coloro che dispongono di particolari doti e di una certa cultura specifica, a cui, l’Ordine Italiano, per iniziativa del suo attuale Sovrano, provvede con speciali corsi facoltativi e gratuiti.
Non deve sorprendere che la « graduatoria » Martinista sia tanto semplificata; essa si inspira alla forma più nota della progressione iniziatica egizia, cioè quella primitiva, ed afferma vigorosamente il concetto del ternario. Si riallaccia pure alla primitiva forma Massonica, essa pure in tre gradi, la quale, nel suo concetto originario, intendeva pervenire alla integrale catarsi dell’Iniziando, determinare la « morte » del Profano, e, per essa, vedere nascere l’Iniziato.
D’altra parte il numero dei gradi in una gerarchia di valori spirituali ha una importanza assai meschina poiché qualunque gerarchia altro non è che una forma di riconoscimento di valori personali, una valorizzazione, destinata a stabilire delle distinzioni più adatte a dei profani che non a degli Iniziati, il cui valore intrinseco assume delle forme penetrative, suggestive, che, secondo la loro stessa potenza, costituiscono una effettiva graduatoria. Questi tre gradi vanno perciò intesi più come sezioni che come gradi veri e proprii; i primi due, specialmente, destinati a completare la preparazione e le cognizioni assolutamente necessarie al volenteroso cui si affaccia lo sconfinato panorama del « Superiore Incognito».
Un Ordine Iniziatico inspirato alla dottrina di Ermete ed alla Cabala, denso di concetto quale è il Martinismo non poteva mancare di simboli espressivi, di quelle espressioni sintetiche del pensiero che sole possono trasmettere magicamente tutta l’anima di un concetto; esso infatti ne ha di tre specie: mobili, grafici ed individuali.
Per un particolare rispetto al buon volere del suo ideatore, il Martinismo italiano ha conservati intatti i simboli originar! per quanto esso sia dominato non tanto dallo scopo di fare rivivere la tradizione quanto da quello ben più importante di « animare » la tradizione. E’ per questo che esso ha conservato anche quello costituito dal Sacro Tetragramma nel <|ui centro si è innestata la « scin » ebraica; non si è inteso avvalorare un errore glossologico che risale alla prima metà del 15° secolo, pare a Joanis Reuclin, quando scarsa era la conoscenza dell’ebraico (errore ribadito da Cornelio Agrippa, da Kircher ed altri molti), ma semplicemente per conservare l’allusione, anche se scorretta, della incarnazione del ternario (la scin è 21ma lettera dell’alfabeto ebraico e vale 300) nel quaternario del Gran Nome, e su di ciò richiamare l’attenzione dell’Iniziando e portarlo di desiderio di approfondire la sconosciuta legge del settenario, ,legge che impera in modo stupefacente in tutti i campi della vita.
Appartengono ai simboli mobili, i parati, le luminarie, le colonne, l’arco; e quelli grafici la croce, il cerchio, il pentagramma, il Pentacolo universale; ai personali, la maschera ed il mantello.
In tutte le scuole iniziatiche lo studio del simbolo rappresenta una delle parti più importanti poiché esso rappresenta, come dice Oswald Wirth « una finestra sull’infinito » e saremmo tentati di farne oggetto di qualche nostra breve considerazione se non ci trattenesse il carattere che abbiamo voluto dare a queste note, di rapido esame generale che molto tocca e nulla svolge, in modo da obbligare a pensare a penetrare, a contribuire con apporto pensativo alla stabilizzazione del proprio volere. Ma per quanto chi scrive queste righe non si senta capace di spaziare oltre i limiti di un cerchio di determinato sviluppo, si promette, se altri non lo farà prima e meglio, di farne oggetto di una breve monografia a parte.
E cosa evidente a chicchessia che una parentela molto intima lega Massoneria e Martinismo, onde, pur dimostrando comprensione per l’alta finalità delle scuole iniziatiche potrebbe affacciarsi una obiezione apparentemente fondata relativa alla opportunità o meno della coesistenza delle due scuole i cui fini sono identici. Si potrebbe osservare che la Massoneria, e particolarmente quella di Rito Scozzese Ant. e Acc., vigorosa e diffusa perché meravigliosamente congegnata, ha da vedere nel Martinismo se non un proprio duplicato per lo meno un Ordine che ad essa sottrae degli elementi che potrebbero esserle utilissimi ad accrescerne il lustro e che, essendole così sottratti, non le consentono di sviluppare tutta la potenza di cui sarebbe capace un organismo solo; insomma, sotto l’impressione di constatazioni non confortanti, si potrebbe vedere nel Martinismo un nuove frammentarsi di utilissime energie.
A parte il fatto che praticamente molti purissimi scozzesi sono nel contejnpo dei buoni Martinisti, il che sta a provare che fra le due istituzioni è una reciproca considerazione, ed una ben compresa comunanza di intenti, vi è una ragione fondamentale che giustifica la coesistenza delle due scuole. Infatti l’obiezione di cui è cenno non terrebbe conto di un fattore psicologico importantissimo intimamente connesso a quel dualismo costitutivo che tanto i Massoni quanto i Martinisti rappresentano simbolicamente con le due colonne del Tempio Salomonico, la colonna B e la colonna J, di cui ed i rispettivi colori e capitelli nonché il significato dei nomi stabiliscono due caratteri distintivi; essi, che sono evidenti anche nella natura umana, hanno determinato sin dagli antichissimi tempi due forme di iniziazione che prendono i loro nomi proprio da quello dei capitelli delle colonne: Iniziazione Dorica ed Iniziazione Jonica.
Nella iniziazione Dorica o mascolina, propria alle fratellanze muratorie, si perviene alla Luce soltanto dopo avere superato ostacoli e prove, per forza di volere, per volontà di pervenire; per questo essa si inspira alla colonna EÌ, che significa « in me è la forza ». L’iniziazione Jonica, tipicamente mistica e femminina, caratteristica di molti Ordini Illuministici, raggiunge la Luce con il desiderio vivissimo, il fervore dell’anima, la passione, tutta volta allo scopo che, se non consegue in prima istanza, raggiunge nelle successive, epperciò, mentre la Dorica è improntata a volontà la Tonica Io è « a fede », a recettività; corrisponde così al carattere della seconda colonna, -J-, che significa « stabilità, continuità » implicando il concetto di receptività.
Questo spiega come il Martinismo possa dare allo sviluppo delle scienze maggiormente avvolte nel mistero un posto assai più importante di quello che ad esse non conceda la Massoneria, poiché ai suoi adepti la particolare predisposizione costitutiva, valorizzata dall’applicazione e dal continuo esercizio, consente la possibilità di percepire le più deboli emanazioni fluidiche assai meglio di quel che non potrebbe farlo colui in cui la forza costituisce la caratteristica principale.
IL MARTINISMO
Ne viene da ciò che Martinismo e Massoneria si completano vicendevolmente e che dalla assimilazione da parte dello stesso individuo della dottrina specifica dell’una e dell’altra scuola si perviene a quel grado di completezza iniziatica che sanno raggiungere soltanto coloro che hanno saputo realmente spogliarsi di tutti i metalli, far rivivere in loro il « divino fanciullo » che tutti noi portiamo quando il nostro cuore è ancora vergine e non ha perduto la sua lieta primavera di bontà e di fede.
E’ questa una convinzione così profonda negli adepti di entrambe le scuole che essi, approfondendo lo studio di questo antagonismo più filosofico che sostanziale perché costituente l’essenza della vita, riconoscendo l’efficacia di entrambi i sistemi, fanno, come detto, parte di entrambi gli Ordini, e tendono così a rafforzare quel simbolico ponte che attraverso insondabili abissi unisce la materia! allo spirito, e concorre a costituirne quella pietra di volta su cui è incisa la Lira, simbolo magnifico della più elevata aspirazione umana in un con quello della perfezione cosmica: l’« Armonia ».
A questo concetto è informata l’idea dell’attuale Sovrano Generale dell’Ordine Martinista, — che è nel contempo Sovrano Ispettore Generale del Rito Scozz. Ant. ed Acc., e Grande Jero- fante nel Rito di Memphis —, tendente al raggiungimento di una federazione di tutti i Riti, nessuno escluso, che realizzerebbe in un tripudio di cuori un sogno cui sino ad oggi si sono opposti quei residui metallici che purtroppo furono deposti solo apparentemente mi che in effetto permangono.
La tendenza fusionista, associativa, federativa è più sentita nel Martinismo che non in altra Scuola, e ciò non può sorprendere quando si consideri la natura della iniziazione, che, essendo Jonica, le conferisce un carattere che ha del materno. E questa tendenza si estende a tutti i campi spirituali e materiali. Per essa, nel campo degli interessi, al di sopra di quelli individuali o di casta, di questa o di quella nazione, deve imperare l’interesse collettivo che potrà essere raggiunto soltanto tenendo coatto di quello di tutti; nel campo del governo dei popoli esso tende al raggiungimento dell’unità in forma tale da i rispecchiare j1 principio Pitagorico; nel campo della religione, conto tenuto che senza religione l’uomo non potrebbe vivere, tende alla religione unica universale e veramente cattolica, quale sola può sorgere dalle ceneri di tutte le religioni professate, più o meno intransigenti, fuse nella concezione di un Dio immateriale, immutabile e non sostanziale. Il raggiungimento di questo ideale oggi ancor tanto lontano da apparire utopico fu, ora è un secolo, enunciato dal Martinismo nella formula:
l’associazione di tutti gli interessi;
la federazione di tutti i popoli;
l’alleanza di tutti i culti;
l la solidarietà universale.
Purtroppo a certe concezioni di sogno il Martinismo italiano è sottratto dalla visione delle macerie che in cumuli bianchi come ceneri delle ossa che nascondono, costellano il nostro avvilito Paese, dal dilagare di tristi passioni, dalla preoccupazione del domani.
Di ciò si preoccupa ma non si sgomenta; la gran Fede lo regge.
Noi usciamo da uno dei più duri periodi della nostra storia, e stiamo per entrare in un altro ancora più duro; non dobbiamo farci illusioni, è cosi. Ieri era sangue e pianto, domani sarà sudore e angoscia.
Occorrono gli uomini per il nostro domani.
Come in tutti i periodi che seguono alle catastrofi di un popolo, la corruzione in tutte le sue forme dilaga, e l’arginarla non è compito che possano assolvere uomini che siano soltanto onesti; occorrono uomini che abbiano la capacità di trasfonderla questa onestà, occorrono uomini dai quali emanando qualcosa di indefinibile se ne senta il fascino, se ne senta una attrazione tanto potente da far sortire dalla melmosa roggia, uomini che sappiano ridestare la non del tutto sopita ammirazione per il giusto e l’onesto, porre un argine alla sfrenatezza dei desideri senza che ciò costituisca un sacrificio, rieducare insomma all’amore del giusto e del bello, traendo tutta l’energia a ciò necessaria dalle risorse del Sublime.
Sono questi gli uomini che il Martinismo prepara.